Domenica scorsa è stata la notte degli Oscar. Un evento che tutti, critici o ammiratori della settima arte, aspettano trepidanti a intervalli di 364 giorni, anno dopo anno...
Si perché è inutile negarlo, da quando siamo piccini e ci avviciniamo al cinema, quella notte, quella statuetta, quelle sfilate di celebrità, i flash, i discorsi e i ringraziamenti, rappresentano fantasie e desideri che sono motivo di spinta per chi sogna uno spiraglio nel firmamento delle stelle.
Noi di LifeIzShort non vogliamo invadere l'Olimpo dei film, restiamo con l'obiettivo puntato sulla nostra scena, quella dei cortometraggi in gara.
Le nomination per il miglior cortometraggio di animazione 2018
Qualche ora prima della premiazione, mi arriva una notizia esaltante via Telegram: al Teatro Franco Parenti in Milano, dalle ore 19:00, maratona corti da Oscar!
Grande iniziativa in città, fantastico!!!
Sfortunatamente, le condizioni di un padre non sono sempre favorevoli ai programmi dell'ultimo minuto e questo giro me lo sono perso, ahimè...
Insomma se ripensiamo al mio primo giudizio, dovrei starmene zitto dal momento che non ho visto niente e i corti non sono recuperabili perché copyrightizzati dall'Academy stessa che li blinda inderogabilmente (fatta eccezione per l'appunto del vincitore e a questo arriveremo tra poco). Mi rassicurava però l'idea che in sala fossero presenti 2 collaboratori di LifeIzShort, colleghi appassionati e competenti pronti per fare da occhi e orecchie per tutti noi. Il vecchio Lucio e l'instancabile Keyser!
A fine proiezione, questo era il loro giudizio:
Keyser assegnava il premio a Lou come miglior corto di animazione e a Watu/Wote per la categoria Live Action. Lucio non si sbilanciava sul vincitore della categoria animazione ma, oltre a sottolineare l'opera poco convincente di K.Bryant, assegnava una menzione speciale per la qualità grafica a Garden Party e si schierava, come Keyser, per Watu/Wote nella sezione Live Action.
Perbacco! A quanto pare un cortometraggio assolutamente da non perdere questo Watu/Wote!! Fate in modo di non mancare l'occasione se lo trovaste disponibile in rete o in qualche sala!!!
Dear Basketball ripercorre in 5 minuti quella che è stata la storia atletica di Kobe Bryant, uno dei principali e formidabili fuoriclasse della pallacanestro mondiale degli ultimi 20 anni. Fin da quando era bambino e inseguiva il canestro vincente tirando palline di carta nel cestino di casa, fino all'approdo nei Los Angeles Lakers, squadra in cui militerà per l'intera carriera.
Passando attraverso gioie, dolori, infortuni, 5 titoli NBA e 2 titoli MVP (Most Valuable Player ovvero il premio più alto conferito al giocatore migliore della stagione) ascoltiamo le parole dello stesso Bryant, che recita la lettera intitolata proprio "Dear Basketball" e pubblicata nel 2015 dal The Players Tribune, nella quale il campione annunciava il suo ritiro dal mondo dello sport. Sotto la voce off scorrono i disegni a matita (in uno stile "non finito") e in bianco e nero (tranne che per sporadiche macchie di colore, per lo più giallo e viola, che sono i colori ufficiali dei Lakers) di Glen Keane, illustratore navigato della Disney con all'attivo capolavori come La Sirenetta, Aladdin, La Bella e La Bestia e Tarzan.
Dear Basketball non è un brutto cortometraggio. E' certamente un bellissimo manifesto, un inno allo sport quale condensatore di emozioni uniche e trascinanti. E' il classico video/omaggio che dovrebbe essere proiettato nelle scuole elementari o alle medie per accendere nei ragazzi quella curiosità, quella voglia di uscire a giocare e misurarsi con gli altri e con se stessi come solo lo sport sa concederci.
Ma ad essere davvero onesti, Dear Basketball manca di qualcosa per essere un grande corto, un corto da Oscar! Perché se è innegabile che la storia sportiva di Kobe Bryant sia unica e meravigliosa come poche, è altrettanto vero che bastava leggere l'articolo originale per emozionare ed emozionarsi. Certo combinare musica o parole alle immagini è l'essenza stessa che conferisce superiorità al cinema. Però, a mio parere, non basta per consacrare un grande storia come grande film (o cortometraggio in questo caso).
Come dicevo all'inizio di questo articolo, è un mio parere e so di essere eccessivamente critico, prevenuto e scettico, talvolta. Ma l'Academy non è nuova, specie negli ultimi anni, a "consegnare" onorificenze di lusso (quale l'Oscar per l'appunto) a prodotti filmici che le garantiranno un equo e certo ritorno di visibilità, di prestigio e di "DINDINI" per la soddisfazione di entrambe le parti. Insomma, la valutazione positiva riguardo al fatto che un film ha o avrà un mercato proficuo per gli anni a venire, garantisce in qualche modo il bene placito degli amministratori alla vittoria finale.
Il premio Oscar non è solo una statuetta. Il premio Oscar significa soldi e non parliamo certo del prezzo dell'oro di cui è fatto (che si aggira intorno i 300 dollari US) ma di accordi commerciali, prestigio e distribuzione nelle sale, botteghini di oggi e campagne promozionali di domani (con il nome del regista o dell'attore "premio Oscar" che comparirà su qualunque inserzione pubblicitaria o trailer, attirando verso il prodotto una fetta di pubblico enorme).
Detto ciò, perché tanto sdegno? Perché se Kobe Bryant avesse scritto un vero capolavoro, o se lo scriverà in futuro, buon per lui. Gli facciamo tutti i nostri auguri per una nuova carriera professionale e attendiamo con trepidazione di assistere a magie sul grande schermo come quelle che facevano tremare il parquet dello Staples Center e non solo. Ma assegnare un premio così importante ad un'opera tutto sommato sottotono, purtroppo sa molto di accordo tra le parti, che trasforma un'icona internazionale sicura come Bryant in un testimonial perfetto, un influencer naturale che trascinerà migliaia di persone, forse milioni, a cercare il suo cortometraggio su internet e chissà, a riempire le sale in quello che sono certo sarà il suo primo lungometraggio (che nel frattempo avrà già firmato per la realizzazione...).

Alla fine, a pagare il conto restano gli autori piccoli, quelli che per emergere dall'ombra devono dannarsi come topi in fondo a un pozzo. Arrivare a un passo dal traguardo, per poi soccombere, guardando inermi l'avversario che li sorpassa con un motorino nascosto nella carena della bicicletta...
Complimenti Kobe, io però inseguo e percorro altre vie e sono le strade di Nobili Bassifondi!!!
Le nomination per il Miglior Cortometraggio Live Action 2018
Rachel Shenton ha mantenuto la promessa fatta alla piccola Maisie, quando ricevendo l’Oscar per Miglior Cortometraggio live action ha tradotto il discorso nella lingua dei segni, davanti a milioni di persone.

Rachel, attrice britannica, ha cominciato a scrivere “The Silent Child” quando suo padre diventò sordo dopo essersi sottoposto alla chemioterapia. Dopo la sua morte, Rachel divenne un interprete della lingua dei segni e non solo...
Divenne anche Ambasciatrice della National Deaf Children Society compiendo imprese come la scalata al Kilimangiaro o creando un social network per persone sorde per sensibilizzare la popolazione del Regno Unito sul tema.
Il regista del cortometraggio è Chris Overton, fidanzato di Rachel, alla sua prima prova dietro alla cinepresa. In passato ha lavorato con Joel Schumacher, Roman Polanski e preso parte al cast del film Pride di Matthew Marcus, vincitore ai Bafta nel 2014.

Il regista Chris Overton
Shenton e Overton contattarono tutte le organizzazioni che si occupano delle persone sorde nel Regno Unito, affinchè li aiutassero a trovare la loro piccola attrice. Videro più di 100 bambini per la parte, ma quando una bambina di sei anni Maisie Sly, alla sua prima prova di attrice, si presentò non ci furono più dubbi. “Mi conquistò in circa 15 secondi.” Ha dichiarato Rachel Shenton.
Fu difficile trovare i soldi ma grazie al crowfunding e alla vendita di cupcake riuscirono a far partire il progetto.
“Dico sempre che la sordità è una disabilità silenziosa, non puoi vederla e non mette a repentaglio la vita, così deve toccare la vita delle persone in modo particolare per averne consapevolezza.
Il 90% dei bambini sordi nascono da genitori udenti senza alcuna esperienza della sordità, spesso questo limita la comunicazione tra genitori e figli, con l’effetto di avere un bambino quasi incapace di comunicare a scuola. Dalla chiusura di quasi tutte le scuole per sordi, il 78% dei bambini sordi non ha sostegno specializzato nelle scuole.
Con il giusto sostegno un bambino sordo può fare le stesse cose e raggiungere gli stessi traguardi di un bambino udente.”
Cosa significa essere normale? L’errore sta nel ritenere anormale ciò che è distante da noi o non riusciamo a capire. Beethoven era sordo ma questo non gli ha impedito di scrivere capolavori impareggiabili nella storia della musica!
Per evitare l’isolamento relazionale bisogna inserire operatori che insegnano nelle scuole la lingua dei segni, anche ai bambini udenti. Perché se le persone sorde trovano un muro a comunicare è anche colpa nostra.
Recentemente la pagina del corto con l’aiuto della piccola Maisy ha lanciato la campagna social #DisabilityisDiversity. La ricchezza sta nella diversità.
La vittoria dell’Oscar come Miglior Corto si spera che contribuisca a sensibilizzare le scuole e le politiche dei governi in questo senso.
Rachel Shenton ha dichiarato che sta lavorando a un soggetto per trasformare questo corto in un lungometraggio.
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