Il riccio nella nebbia

Il riccio nella nebbia - di Yuri Norštejn e Francheska Jarbusova, 1975 - non si impone alla visione dello spettatore, ma al contrario invita quest’ultimo a guardarsi dentro, in modo tranquillo e senza forzare l’adesione alla poetica dell’autore.

La sua struttura narrativa ricorda quella di un haiku, la composizione poetica giapponese di grande sintesi del pensiero dove il soggetto/oggetto è spesso una scena rapida ed intensa che descrive la natura e ne cristallizza i particolari nell'attimo presente.

Norštejn mostra un interesse particolare nell'uso delle convenzioni grafiche dell'Estremo-Oriente la cui prospettiva, in opposizione a quella occidentale concentrata sulla visione di ciò che l'occhio vede, si focalizza su quanto la mente ricorda e pensa.

L'estrema concisione delle immagini e delle parole lasciano spazio ad un vuoto ricco di suggestioni, come una traccia da completare, così come avviene per i versi della poesia giapponese.

L’antropologo Serguei Oushakine riconosce questa atmosfera di indefinito differimento nell’animazione, dichiarando:

il tema principale è il lavoro di immaginazione o, più precisamente, la paura e il piacere a cui è collegato.”  

L’atmosfera ricorda la visione di alcuni film di Fellini, attraverso una serie di apparizioni oniriche dettate da una memoria che confonde, dove “nulla si sa, tutto si immagina”.

Il piccolo riccio infatti prima si perde e poi si ritrova. Lo spirito guida è un cavallo bianco, ovvero quel significato profondo, l’altrove a cui tendere perché sentiamo che ci manca qualcosa, essenziale più dell’aria, anche se potremmo non raggiungerlo mai.

La disposizione d’animo con cui affrontare questo viaggio misterioso è quello del bambino, capace di insegnare agli adulti a mantenere uno sguardo in grado di osservare il mondo da un’altra prospettiva per poter (r)esistere e cogliere l’euritmia delle cose.

Storia e genesi del cortometraggio

“Il riccio nella nebbia” fu ideato negli studi della “Sojuzmul’tfil’m nel 1975, sulla base di una fiaba di Sergej Kozlov.

Norštejn rielaborò la storia in un copione dalla struttura molto semplice:

un riccio va a visitare un amico ma si perde nella nebbia, precipitando in un mondo spaventoso e ignoto.

Il personaggio nacque in modo travagliato. Sotto la supervisione di Norštejn il direttore artistico del cartone animato, nonché moglie dello stesso regista, Francheska Jarbusova iniziò a disegnare con zelo e fatica un riccio dopo l’altro. Ma nessuno di questi andava bene. La situazione si fece pesante, dal momento che le riprese erano già iniziate. Norštejn, spazientito da tutta quella tensione, esplose gridando:

“Il riccio deve apparire al secondo 1/12 e deve essere stampato! Il profilo deve risultare assolutamente chiaro e netto!”.

Dunque Francheska si sedette e subito si mise a disegnare il riccio: timido, pauroso, piagnucolante. E fu così che nacque il vero Riccio, colui che sarebbe rimasto per sempre nei cuori degli spettatori.

L’effetto della nebbia fu creato mettendo un sottile pezzo di carta sulla scena e sollevandolo lentamente verso la camera frame by frame finché lo sfondo non diventava sfocato e bianco. Le scene vennero riprese attraverso una multiplane camera, filmando insieme più lucidi (utilizzati nell'animazione tradizionale) disposti uno sull’altro e distanziati tra loro, così da conferire all’immagine un effetto tridimensionale.

Scheda Tecnica

  • Soggetto: Yuri Norstein e Sergei Kozlov

  • Sceneggiatura: Sergei Kozlov

  • Direzione artistica: Francheska Yarbusova

  • Riprese: Alexandr Zukovsky

  • Musiche: Mikhail Meyerovich

  • Montaggio: Natalia Abramova

  • Narratore: Aleksey Batalov

  • Voce del riccio: Maria Vinogradova

  • Voce dell'orso: Vyacheslav Nevinny

  • Regia e animazione: Yuri Norstein

Premi

1976 - Frunze All-Union Film Festival: "miglior film animato"

1976 - Tehran Children's and Youth Film Festival: "miglior film animato"

2003 - Tokyo Laputa: "Miglior film animato di tutti i tempi"