48 ore al Bellaria Film Festival

 

“Bellaria non si riconosce, quando non è stagione…” dicono i suoi abitanti. E un po’ di verità c’è. La tarda primavera ha le sembianze di un orso con ancora gli occhi pesti, che si stropiccia, si stira e si raddrizza sistemando le sdraio e gli ombrelloni per la sua age d’or: l’estate in arrivo. Ristoranti mezzi chiusi, il lungo mare che pare una strada provinciale e un centro che sembra l’hinterland di Varese. Nessun turista che schizza avanti e indietro con risciò o bici a noleggio, il passaggio a livello quasi sempre alzato e la sera tutti a letto presto.

Ad ogni modo, per chi ci è passato, Bellaria non si dimentica. Ti lascia dentro una strana spirale di emozioni che è poesia. Forse perché è terra Felliniana e pare sempre un Amarcord o per via della casa natia di Giovanni Pascoli lì a 2km, chi lo sa… rimane il fatto che tornarci è sempre un tuffo al cuore per i tanti che ci hanno passato molte vacanze, tra giochi, balli, follie adolescenziali e brucianti passioni estive.

Ma non è tutto vacanze, piadine, lasagne e spiagge… A fine maggio è il cinema l’assoluto protagonista di questa fetta di riviera. Benvenuti al Bellaria Film Festival!

Giunto al suo 34°anno, il Bellaria Film Festival nasce nel 1983 da un’iniziativa comunale con il nobile proposito di promuovere il cinema indipendente italiano. Nel 2005 cambia pelle e target: il documentario sostituisce la fiction al concorso.

Negli anni sono state molte le personalità di rilievo che hanno contribuito, da Morando Morandini a Enrico Ghezzi, da Roberto Silvestri a Marco Bellocchio (e tanti altri).

Il D.A.K. – la speciale crew inviata a Bellaria da LifeIzShort – ha visitato la rassegna di quest’anno con un’attenzione particolare verso quel il cinema che ci tocca da vicino, ovvero cortometraggi e mediometraggi.

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Scaricati i bagagli nel mini attico della signora Mirella e appagate le ovvie necessità biologiche post viaggio, c’era giusto il tempo per una succulenta piadina prima della proiezione. Superato il porto, quella che nei miei ricordi era la trafficatissima via che costeggia il lungomare sembrava il desertico centro del paese di Amarcord (quando il giovane Titta corre al cinema per vedere non tanto il film quanto la sig.rina Gradisca…)

Sole, una lieve arietta, nessun abitante, nessun bagnante. Siesta assoluta.

Scatta la tripla piada nell’unico esercizio aperto, con i proprietari che ormai stavano pranzando davanti a una bella bottiglia di rosso, sicuri che non sarebbe arrivato più nessuno. Tutto buono, paghiamo il conto e la domanda è di rito, ovvero, dove trovare il primo dei quattro luoghi del BFF: nello sguardo dei gestori si staglia un interrogativo preoccupante seguito da un’eco in salsa romagnola al nostro quesito:” BFF cheee??? “

Davvero strano, mi viene da pensare. Nelle settimane precedenti, la campagna di comunicazione era stata eccellente da parte della segreteria organizzativa. Possibile che proprio per i residenti fosse un mistero???

Ad ogni modo, raggiunto il centro,  dal box ufficiale della rassegna davanti al Cinema Astra ci indicano come raggiungere lo Smeraldo, teatro (di nome di fatto…) della prima proiezione che ci interessa: Inagibile di Giulia Natalia Comito e Tommaso Cassinis (2016 – 27′). E’ il primo documentario della rassegna Casa Rossa Art Doc, la sezione del festival per i documentari dedicati al mondo dell’arte.

Il cantautore Bob Corn faccia a faccia con il terremoto che nel 2012 si è abbattuto sulla sua Emilia e sul suo paese  nella “bassa” San Martino Spino. Quella scossa – quelle scosse –  hanno prima vibrato nella terra e poi nell’aria, hanno spezzato le case e i palazzi, le chiese e le scuole. Ma quel ruggito della natura non si è mai placato, continuando a scuotere la sua anima come quelle di un popolo intero, una comunità, che da allora cerca di ricostruire non solo le proprie case, ma anche un pezzo della propria esistenza, individuale e collettiva.

 

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I due registi raccontano che l’idea del corto è nata per caso, seduti al tavolo di un pub dopo un concerto di Bob, tra una chiacchiera e un bicchiere di vino con il debordante cantastorie, si è finiti a parlare di quel dramma che Corn da allora non riesce proprio a tacere.

“Non ho più scritto nulla…” balbetta quasi imbarazzato. La musica non è più arrivata all’orecchio né all’anima. Una voce sincera, quella di Bob.

Oggi canta cover, trasformando quelle vibrazioni in note per quel villaggio di sfollati che è diventato il suo paese. Il crollo ha avvicinato le persone e lui se ne fa ambasciatore e interprete, cercando di unirle con la musica. Si perché se una volta Bob Corn si esibiva, viaggiava, si sbatteva per le retrovie di paesi e concerti folk in Italia e fuori, ora no, ora è fermo in una San Martino spezzata. Perché un conto è andare in giro sapendo di avere una casa a cui tornare e un altro è lasciare quella nido traballante, andarsene e non sapere cosa troverai tornando; SE troverai qualcosa…

Si vedono le immagini del gran concerto, finalmente sorrisi. Gli abitanti sono stati coinvolti e partecipano, molti di loro suonano improvvisando strumenti con attrezzi, ruderi, macerie, come fossero degli STOMP.

“Cosa c’è?” – gli fa il padre. E lui – “Babbo, c’è stato il terremoto…” – “ Eh va bé, abbiam perso solo la casa…” No, forse no, sembrano dire gli occhi di Bob.

A fine proiezione, ci delizia con una performance live. 3 pezzi, ben fatti, intimi. Una sensibilità che fa a cazzotti con un personaggio così esuberante e istrionico. Questa è “Seppia” cover del collega conterraneo Setti.

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La seconda opera che interessa LifeIzShort va in onda poco più tardi nel pomeriggio. Stessa sala rovente di prima per il docu-mediometraggio E42 (2015 – 34′) della californiana Cynthia Madansky.

Un’esplorazione visiva dell’Eur, quartiere romano costruito nel ventennio fascista per ospitare l’Esposizione internazionale del 1942 – mai realizzata – e finalizzato alla celebrazione del regime, ai suoi valori e traguardi storici fino a quel momento. Un’opera architettonica mai inaugurata, portata a compimento solamente nel dopoguerra. Lo sguardo della navigata artista statunitense è multiforme. La narrazione è affidata a interviste, danza, pittura e riprese video in 16 mm.

Un quartiere che ancora oggi sembra fuori dal tempo, sospeso in un limbo.

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Pausa spiaggia e nuova indagine tra gli autoctoni bellariesi: dove si trova l’Arena Italia? [location che ospiterà i due eventi live di venerdì e sabato sera).

Ancora una volta è il silenzio a farla da padrone… Le gentildonne del chiringuito e l’intero staff del bagnino non hanno la minima idea di cosa stiamo cercando… la frustrazione cresce…

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Nel tragitto che ci riporta allo Smeraldo, riusciamo a recuperare informazioni più precise telefonando direttamente in segreteria.

Arriviamo al terzo corto-doc mentre le luci calano in sala. Per alleviare le sofferenze del pubblico dovute alla temperatura interna (sembrava una tortura tipo cella nel deserto nella Legione Straniera…) gli organizzatori hanno sistemato un paio di condizionatori ai due lati dello stanzone.

Le Visite di Alessandra Celesia (2016 – 16′) – Dietro le quinte del Théâtre de Chaillot, il diciannovenne autistico Adrien si muove tra luci e ombre, esplora e conosce attrezzi, ritmi, forme e suoni di un mondo sconosciuto e magnetico. La camera a spalla lo segue catturando i suoi silenzi e sguardi stupefatti e curiosi.

Gli unici suoni sono quelli in lontananza delle prove sul palco, le parole sussurrate dai tecnici che gli insegnano a maneggiare e conoscere gli strumenti che governeranno lo spettacolo. Un breve percorso di formazione che la regista valdostana racconta con sensibilità, umanità e discrezione, nel retroscena di quel mondo che per anni è stato il centro del suo lavoro in qualità di regista di teatro, prima di scoprire la passione per la settima arte.

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Il venerdì sera sembra aver messo finalmente da parte l’apatia settimanale e le persone affollano le vie del centro mentre una fila non indifferente blocca l’ingresso del cinema Astra. Archiviati i primi 3 dei 4 cortometraggi in concorso, l’attenzione del D.A.K. è tutta per una delle anteprime più attese del Bellaria Film Festival: S is for Stanley, documentario del regista romano Alex Infascelli che ci racconta una delle storie più curiose che potreste mai sentire sul maestro Kubrick

Emilio D’Alessandro, umile emigrante originario di Cassino (Lazio) parte per Londra giovanissimo e mentre cerca di emergere come pilota automobilistico professionista, lavora come tassista e trasportatore. Nel 1971, mentre Londra  è sepolta da un’imponente nevicata, gli viene proposto un trasporto eccezionale. Una casa cinematografica necessita di un oggetto sul set a tutti i costi ed Emilio non si tira indietro come gli altri colleghi londinesi. Nemmeno quando scopre l’entità del compito e l’identità dell’oggetto misterioso: il gigantesco fallo di ceramica con cui Alex DeLarge uccide la proprietaria della clinica per dimagrire in Arancia Meccanica!!!

La bizzarra ed eroica impresa richiama l’attenzione di Kubrick, noto perfezionista, maniacale e autoritario. Un individuo in grado di portare a termine un compito simile non può assolutamente sfuggire al suo entourage. E’ l’inizio di una relazione lavorativa che durerà quasi 30 anni, nei quali l’autista ciociaro si trasformerà in un factotum e assoluto uomo di fiducia del grande regista, ne diventerà amico e, incredibile ma vero, ispirerà lo stimolo per il progetto Eyes Wide Shut

Il documentario è una sorprendente galleria di aneddoti, storie e cimeli imperdibili per chiunque sia appassionato di Stanley Kubrick. Il budget molto basso ha inevitabilmente condizionato la produzione, per cui è assente un vero e proprio contraddittorio (i soli a raccontare sono D’Alessandro e la moglie Juliette).

Non ci sono immagini originali dei film e le location si contano sulle dita di una mano. A compensare questi limiti, un bellissimo personaggio che coinvolge regalandoci uno sguardo più unico che raro di chi ha vissuto la realizzazione di molti capolavori da dietro le quinte.

Con quel suo accento anglo-ciociaro (il film è sottotitolato quando parla il protagonista) ascoltiamo un lato di Kubrick inedito, vediamo le centinaia di assurde richieste che lasciava ad Emilio su bigliettini firmati “S”, i cimeli che ha conservato dal materiale di scena (come si fa a non invidiare un uomo che ha nel salotto di casa il tappeto originale di Shining!!!!) le opinioni e gli incontri con i divi, i favori, i drammi personali e i sacrifici in quello che lo stesso Emilio è stato il tempo di una vita; “30 anni passati con Stanley, 17 anni passati con mio padre…” dirà a fine proiezione.

Un bel documentario già vincitore del David di Donatello e presentato nei principali festival che – per fortuna – ha trovato una distribuzione nazionale. Non possiamo che consigliarlo. In particolare ai cinefili, ma non solo…

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La giornata o meglio, la serata, si conclude all’insegna del live all’ Arena Italia. Trovarla non è stata impresa facile. Quasi gli organizzatori volessero mantenere il silenzio sull’esatta ubicazione dei luoghi, in linea con le tendenze dei locali più trendy di riproporre gli speakeasy degli anni del proibizionismo USA…

La Linea goes2

Rintracciato il posto dietro l’hotel Ermitage, in una sorta di cortile interno con sedie da spiaggia a sostituire le poltrone di un cinema, le luci blu e viola a richiamano finalmente i colori ufficiali del BFF. Sullo schermo scorrono gli storici disegni animati de La Linea di Osvaldo Cavandoli mentre sul palco l’elettro reggae dei Caracas sonorizza il tutto. Così nasce La Linea goes to Caracasun progetto originale allestito appositamente per il 34° Bellaria Film Festival.

 

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E poi, il secondo giorno, alla seconda piadina, nel secondo posto diverso… tutti sembravano sapere del BFF!!! Forse una manovra di marketing onirico o forse perché era sabato e si era scatenato il turismo da weekend, resta il fatto che la simpatica signora del locale ci riconosce subito come turisti in visita al festival, raccontandoci addirittura un simpatico aneddoto degli anni ’80.

Con la pancia piena e il rutto in canna ci dirigiamo verso il centro mentre 3 coppie ci sorpassano li sentiamo conversare sul BFF e notiamo con stupore che a terra è stata piazzata una sorta di passerella a righe bianco-azzurre che guida ai luoghi dell’evento. Forse c’erano anche il giorno prima ma non li avevamo notati. Una cosa è certa, ora sono ovunque! Notiamo addirittura delle impalcature ricoperte dallo stesso tessuto e (più tardi) i divisori degli impianti balneari in spiaggia… ancora ignota la scelta dei colori, per quanto siamo abbastanza certi che fossero i colori del comune di Bellaria-Igea Marina che proprio quest’anno compiva 60 anni come comune autonomo.

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E’ il momento di Armenia! (2015 – 40′) – di Francesco Fei, musiche di Massimo Zamboni (ex CCCP)

Siamo in ritardo, ma lo è anche la proiezione. Arriviamo giusto in tempo per non inciampare mentre le luci si spengono.

L’opera è difficile, ruvida. Come lo stesso regista sottolinea “la parola Armenia ha per me un intrinseco rimando di antico, di granitico…” e Fei trasmette questa durezza con immagini grezze, sporche che non vogliono rassicurare. A visionare le altre opere del regista toscano, c’è subito un contrasto palesemente volontario con l’opera in concorso. Un autore che privilegia spesso la lentezza nei suoi lavori, ma se di solito l’attenzione e la raffinatezza delle immagini sono un segno distintivo, Armenia! girato in pellicola 16 mm può mettere a dura prova gli spettatori non preparati e la sua fruizione in generale.

40 minuti senza dialoghi (con sporadiche letture di poesie in lingua originale) musiche sperimentali di Massimo Zamboni – ex CCCP – con un ritmo ripetitivo, ipnotico e onirico. Il verde e il grigio colorano la pellicola come un filtro, stacchi di montaggio “infuocati” esplodono talvolta a spezzarne la lentezza. Paesaggi e persone attraversano la storia e lo schermo. La musica procede monocorde.

L’effetto sul pubblico è prevedibile e sono molti gli spettatori che abbandonano la sala in anticipo. Un documentario che ricorda quello stile cinematografico degli albori, stile L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov. Associazioni d’immagini e montaggio d’altri tempi. Lande desolate, poi una chiesa, il sole, nessuna spiegazione o didascalia di sorta. Il Monte Ararat che si sovrappone ad una fiamma, un’immagine altamente simbolica per un popolo ed un luogo che sono stati culla di civiltà e poi sterminate nel genocidio di inizio ‘900.

 

 

Il confronto e presentazione finale del regista Fei e del vecchio Zamboni, è una bella riflessione e testimonianza che va a compensare alcune lacune non colmate dall’opera. Il suo viaggio in Armenia alla scoperta di un testamento perduto, sepolto e tutt’ora quasi ignorato. Le analogie tra passato e presente, equilibri e squilibri che hanno decretato la fine di un popolo e della terra che gli apparteneva.

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In serata la fila fuori dal Cinema Astra è ancor più lunga della sera prima. In scena c’è il secondo documentario più blasonato, lo spaccato coatto del Bellaria Film Festival e risposta vera, dura e pura a La Grande Bellezza: SHOWBIZ (2015 – 75′ di Luca Ferrari)

Co-prodotto da Valerio Mastandrea con Kimera Film, il film segue il vivere quotidiano di quattro folcloristici personaggi della TV romana anni ’80, rispettivamente: Massimo Marino, Riccardo Modesti, Stefano Natale e Schultz. Attori non-protagonisti di una TV che non c’è più, impossibile da dimenticare per chi l’ha vissuta. Spettacoli notturni, tette, eventi trash di una formula antesignana che era poi la base della televisione berlusconiana.

 

I 4 dell’apocalisse ora si muovono in bar e locali, tra le feste e i night della capitale mercati e nightclub, o semplicemente nei loro solitari appartamenti e case signorili. La sera ballano, ma di giorno vivono una quotidianità fatta di piccoli abitudini. quattro storie da commedia con una potente aura di solitudine e di nobile miseria.

Inseguendo il loro riflesso, vivono in un’ombra che per quanto piccola non sembra averli mai abbandonati, sempre nella speranza di un salto di qualità che li imprigiona da 30 anni. I loro occhi parlano, giudicano e osservano, rimpiangono a volte e odiano qualcosa di loro. Chiusi in stanze che non hanno più pubblico, passano mentre altri nuovi mostri nascono sullo schermo. Intrattengono vecchi e nuovi fan o si reinventano, incapaci di accettare un tempo che non può più esistere.

 

La sensibilità del regista è notevole. Un montaggio non cronologico che mescola materiale di repertorio con l’esclusivo girato dell’autore. Un occhio discreto che inquadra e cattura rumori e silenzi malinconici con l’obiettivo di far convergere quei 4 (sconosciuti l’uno all’altro) in un unico, memorabile incontro.

Indimenticabile disegno di personaggi, come l’amico d’infanzia di Carlo Verdone (ispiratore di una sua notissima caricatura) che dipinge copie di quadri chiuso in casa con in sottofondo VIVA FOREVER delle Spice Girls e cucina il maccherone alla carbonara condito con cracker, in padella e a fuoco lento

 

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Con il Jazza Electrosacher all’Arena Italia a fare da colonna sonora per l’omaggio a Dog Star Man del grande Stan Brakhage, si conclude la nostra incursione romagnola.

Vincitori e premiazione ufficiale era prevista per domenica sera, ma noi abbiamo visto quello che cercavamo, visionato i cortometraggi in competizione ed avuto anche la doppia (e lieta) opportunità di goderci le due anteprime serali. Ciao Bellaria, arrivederci al festival numero 35 della tua storia!

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